Lazzaro, il Re della Cantina


Data di approdo: 15 maggio 2011.
La vita degli esseri umani è imprevedibile, suscettibile di cambiamenti, ricca di situazioni in continuo divenire. Per questo gli umani si guardano alle spalle dividendo il passato in fasi. Sono pienamente coscienti che si tratta di un modo arbitrario di vedere le cose, ma a loro piace perché questo gli permette di capire ciò che erano e, probabilmente, cosa diventeranno.
Il porto che abbiamo visitato è in qualche modo una terra di mezzo. Cari abitanti della Terra e dello Spazio ecco a voi Lazzaro.

Lazzaro ci accoglie in quello che lui chiama il suo studio.
E’ una definizione scelta tra le tante possibili. Potremmo definirlo una cantina, in omaggio al personale autografo di Capossela. Potremmo definirlo un contenitore, date le numerose tracce del suo passato. Potremmo definirlo in tanti altri modi, gli elenchi sono interminabili. Ma qualsiasi definizione potremmo inventarci parleremmo comunque della stessa cosa. E’ una stanza che si trova all’interno di un appartamento vuoto, a sua volta nascosto al primo piano di un capannone, a sua volta confinato nell’estrema periferia di Corato.
A primo impatto sembra uno di quegli uffici non aperti al pubblico. Due scrivanie occupano metà spazio e mettono in bella vista due computer assediati da pile di libri, carte e cianfrusaglie. Sulle altre due pareti gli scaffali ospitano faldoni e altri libri.  

Il pezzo forte.
Varcata la soglia un oggetto cattura la nostra curiosità. E’ il computer costretto nell’angolo opposto, un capolavoro dell’assemblaggio. Lazzaro ha unito la tastiera di un vecchio portatile, che nel 2002 lo aveva abbandonato dopo soli tre mesi, ad un monitor a schermo piatto. Lo definisce il “pezzo forte”.
E’ un oggetto che si legge come una possibile grammatica del mondo in cui ci troviamo. Ci spiega che il passato è un contenitore da cui ripescare tutto ciò che può far funzionare alla grande il presente.
Per tutto il tempo del nostro incontro quel computer ritorna in continuazione. E’ come la consolle di comando di un’astronave che fa la spola tra la vita di fuorisede a Parma e quella di lavoratore a Corato, tra gli studi di ingegneria e il social network Pablozoo, tra il lavoro e tutti quei progetti che maturano nella sua mente. Insomma, è un’astronave che ogni giorno macina anni luce ma che, al termine di ogni viaggio, ritorna puntualmente alla base.

Tra arredamenti e materiale d’ufficio il suo studio nasconde tracce di quel carnevale che gli esseri umani adorano tenersi per sé e per i suoi amici. Soprammobili d’ispirazione giamaicana, ricordini a tema alcolico e oggetti che, raccontando imprese epiche di un ventenne fuorisede, sono relegati all’ultimo piano di uno scaffale in legno.
Ci guardiamo attorno e scopriamo che lo studio è un contenitore di cose opposte l’una all’altra. Quadri raffiguranti angoli di città spezzano fiere di oggettistica funzionale, libri di narrativa si guadagnano il loro posto tra manuali e volumi, un portacellulari jegermeister fa la sua porca figura tra vari portatesserini. E’ un carnevale di antitesi o una terra di mezzo tra le varie dimensioni del quotidiano, esattamente come il nostro amico. Lui è proprio così, diviso tra un’anima tecnica e precisa, che lo fa assomigliare ad un androide, e un’altra temeraria e piacevolmente abbandonata sulla spiaggia a tracannare birra. E l’androide e l’animale da spiaggia sono come due circuiti di un unico sistema, quello stesso sistema che grazie al “pezzo forte” ha trovato una perfetta sintesi nel progetto Pablozoo.

 Quando Lazzaro inizia a parlare di Pablozoo parte dalle origini, da quel periodo in cui iniziarono a diffondersi fotocamere digitali e hi-pod, tutti aggeggi che producevano e custodivano file di ogni genere. Con la postura da consulente scientifico, tradita però dalla Nastro Azzurro in una mano e dalla Pall Mall nell’altra, afferma che tuttavia mancava un contenitore che racchiudesse e condividesse tutto questo materiale. Facebook si stava diffondendo in America e i social network presenti in Italia erano ancora troppo settoriali per soddisfare a pieno questa esigenza.
Accanto a questa breve divagazione sociologica Lazzaro prende a raccontare la sua avventura personale. In un lontano soggiorno a Roma espose l’idea di un social network ad un amico. Si trattava di un progetto in cui tutti i suoi amici potevano avere un profilo e condividere fotografie, video, testi, messaggi istantanei, immagini, eccetera. Gli fu detto che era una bella idea. E lo era davvero poiché, negli anni universitari, molti si trovavano sparpagliati per il mondo e ad ognuno di essi avrebbe fatto sicuramente piacere condividere la propria quotidianità su una piattaforma virtuale.
Tuttavia la lavorazione del progetto partì qualche tempo dopo, come reazione a quel trauma che nell’arco dei secoli ha indotto molti esseri umani a compiere grandi opere. La delusione d’amore. Iniziò a lavorarci il giorno dopo, affiancato quasi da subito dagli amici che come lui, da Corato, si erano trasferiti a Parma. Scelse il nome fondendo quello della piazza sulla quale la sua camera si affacciava, Pablo, nonché nome in codice di un partigiano, al termine zoo, il più indicato per una compagnia di animali rampanti ed emigratori quali erano i suoi amici.
Pablozoo andò avanti per oltre un anno, fino a quando si rese conto che quel progetto gli sottraeva troppo tempo. L’università reclamò più attenzione e l’avvento di Facebook sancì la fine del percorso.  

Giù al nord.
Ogni città universitaria ha le sue leggende e a Parma si dice che non si deve visitare il battistero prima della laurea. Ora il biglietto ce l’ha lì, ben esposto al secondo piano dello scaffale, in una cornice rigorosamente gialloblu. Ma dentro di sé Lazzaro sa che quella cornice non cinge solo un pezzo di carta, ma un’intera fase della sua vita. Dopo quel biglietto, tre euro, è sceso nel suo paese dove ha trovato lavoro.
Ci spiega che nella fase di ricerca si era ritrovato davanti a due possibilità. Un lavoro a Milano e uno a Corato. Poi aveva ripiegato per quest’ultimo per motivi che vanno da un lavoro più interessante ad uno stile di vita più sostenibile. A questo riguardo Lazzaro fa spesso riferimento alla vicinanza fisica dei posti: dal punto in cui ci troviamo la sua postazione di lavoro dista poche centinaia di metri in linea d’aria e anche da qui a casa sua la strada è relativamente breve.
Ma se in un paese come Corato la distanza tra il punto A e il punto B, per usare un linguaggio ingegneristico, è breve, nello studio ci sono tracce di mondi lontani l’uno dall’altro. Potremmo dire che lo studio di Lazzaro si estende per oltre novecento chilometri, esattamente la distanza tra qui e Parma. O meglio la distanza che c’è tra il pezzo forte e una disordinata pila di libri che lui ha eletto a simbolo del futuro. Lo dice come uno che fa un giuramento solenne, poggiando la mano sull’ultimo libro. Ci dice che la lettura e lo studio rappresentano per lui una ricerca. Un modo per cercare nuovi spunti o nuove occasioni.
A confermare questo slancio verso l’ignoto ci sono le sue personali colonne d’Ercole. La prima s’innalza avanti allo sterminato mare di internet. La potete osservare digitando www.pablozoo.com. Spierete il mondo di tanti ragazzi per quello che erano fino a pochi anni fa. Si, in tutto questo tempo Lazzaro si è impegnato a conservare Pablozoo e il suo dominio, come per mantenere un presidio per una eventuale ripresa, o un punto di partenza per altri e nuovi progetti.
La seconda spicca in vetta alla pila di libri su cui ha abbattuto la sua mano pensando al futuro. Il titolo recita chiaro: “Non si muore tutte le mattine” di Capossela. Degno motto per chi è in ricerca. Lo apriamo e sul frontespizio campeggia l’autografo “Al re della cantina”. O dello studio, o del contenitore, o della stanza. Insomma, fate voi.

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